mercoledì 15 giugno 2011

Fare la mamma, fare la nonna

Prima o poi i P.I.P. ci passano tutti: l'incontro-scontro temuto e atteso con i PROPRI genitori sull'educazione dei PROPRI figli. Non so come fosse prima del '68 e della rivoluzione generazionale. Mio padre e mia madre raccontano che i loro genitori se ne fregavano altamente di dare consigli, però mi ricordo bene il disappunto - per non dire la gelosia - sulle loro facce quando vedevano benissimo che il nonno o la nonna di turno si guadagnava il mio affetto con uno schiocco di dita, spesso soprattutto perché mi permetteva di fare e/o avere cose con cui loro non erano d'accordo. Nel mio caso, avevo un rapporto strettissimo sia con la nonna materna, che però vedevo di rado perché abitava lontano, che con il nonno paterno, che, invece, vedevo più spesso e che non ha mai fatto mistero di volermi bene come fossi sua figlia. La prima mi faceva vedere tutta la televisione che volevo a tutte le ore e mangiare qualsiasi cosa volessi in qualsiasi momento. Passava ore a raccontarmi storie di quando era giovane e mi faceva pasticciare con il cibo. Il nonno era...beh, il nonno. Ogni volta, o quasi, che passavo il pomeriggio o la giornata dai nonni mi portava in centro a comprare una bambola - naturalmente, mio padre, che non voleva essere da meno, aveva adottato la stessa tattica, perciò a 5 anni avevo oltre 100 esemplari di vario genere che dormivano sul mio letto al posto mio. Se non facevamo tutto il giro dei negozi di giocattoli sotto le due torri poco ci mancava e, se non si comprava niente, era solo perché non avevo trovato qualcosa che mi piacesse davvero. Uscita da scuola PORTAVO IO IL NONNO a prendere il gelato - perché se aveva la scusa di mangiarlo con me allora la nonna non si arrabbiava - e mi facevo raccontare di quando era in marina e dei suoi viaggi in giro per il mondo per lavoro.
Stare con i nonni significava che mamma e papà passavano in secondo piano, oppure che non c'erano proprio. Certo, con tutti c'era una certa disciplina da rispettare: l'educazione non era in discussione e i ritmi della giornata li dettava la casa che mi ospitava, però, in generale, nell'aria c'era un bel po' di permissivismo che né all'asilo, né tanto meno a casa con la baby-sitter, mi sarebbe stato concesso. I nonni rendevano, insomma, la vita più facile. Non so, di fatto, ai miei genitori quanto questo disturbasse. Ripeto, le intromissioni in termini educativi erano scarse, per quel che ricordo, e comunque la mia peculiare situazione familiare e il fatto che i miei genitori passassero la gran parte del loro tempo fuori casa a lavorare faceva sì che la presenza dei nonni fosse da me concepita come un piacevole svago. La stragrande maggioranza dei ricordi della mia prima infanzia sono legati all'asilo, alla mia baby-sitter e a mio padre - che vedevo poco ma che faceva valere tutto il tempo che poteva passare con me.
I miei figli non vanno ancora all'asilo - 50 Grillo comincerà a frequentare la primavera della materna dal prossimo settembre - e, anomali tra i loro coetanei, non hanno baby-sitter o nonni-sitter, bensì vivono gran parte della loro settimana con entrambi i genitori, che lavorano in casa per occuparsi di loro. Questo permette a noi P.I.P. di turno di poter sperimentare una conoscenza  continua e diretta dei nostri figli nel doverli, nel contempo, educare. Cerco sempre di rammentare la parola ex-duco, nella sua origine latina, che significa "portare fuori" (sottinteso: dall'ignoranza). E' ben difficile condurre i passi della conoscenza di un bambino, spesso perché (e fortunatamente te lo dice anche il pediatra, il che è rassicurante):
- i bambini hanno BISOGNO di rendersi conto dei propri limiti, pertanto DEVONO SENTIRSI DIRE un innumerevole numero di volte "NO", prima di capire che, di fondo, dietro quei NO ci sono dei motivi.
- i bambini sono, appunto, bambini: per loro tutto è bianco o nero, grande o piccolo, istantaneo o eterno. Spiegare ad una bimba di 20 mesi che neanche parla perché non deve svuotare la dispensa per divertimento - essendo questa a portata di mano e STRACOLMA di scatole e buste dai mille colori e suoni - è altrettanto difficile che spiegarlo ad un cane. Tanto vale allontanarla e, se pianta una tigna, farsi seri, rendere chiaro che la tigna non avrà alcun esito - non serve neanche urlare - e, non bastasse ed i decibel del pianto isterico farsi insostenibili anche per l'animale di casa, condurre l'infante verso un luogo isolato (tipo camera sua) e chiudere la porta in attesa del passaggio della "sbronza da isteria". Tutto ciò senza l'ombra di una tottò o di uno schiaffo.
Avere la rassicurazione, perfino del medico, che questo comportamento genitoriale VA BENE mi ha fatto tirare, non uno, ma mille sospiri di sollievo. Poi, un bel giorno, torni a casa dopo che tua madre ti ha fatto il favore di tenere a bada i figli mentre facevi la spesa e:
-è esplosa una bomba in salotto: cibi in scatola, contenitori vari, scarpe, posate e fogli di carta tappezzano pavimento e divano e lasciano la scia in corridoio insieme a qualche sparuto giocattolo inavvertitamente incappato nella furia da stanchezza della figlia maggiore. Il TUO genitore ti guarda e, con l'innocenza del diavolo, commenta "EH, qualcosa doveva pur fare!".
- la figlia se ne sta spaparanzata sul divano con le scarpe addosso e, in mano, un cibo qualsiasi - indipendentemente da che ora del giorno sia, dal fatto che lo usi per gioco o che abbia realmente fame - e neanche ti considera quando entri dalla porta di fronte a lei. In compenso, appena la nonna accenna a mettersi il cappotto per salutare e andarsene scoppia in un pianto dirotto, come se stesse per essere sottoposta alla tortura della ruota medievale.
- quando cerchi di porre rimedio alla tigna epocale provando, come di solito, con la tattica dei cinque minuti di comprensione che va dal "non c'è motivo di piangere, stai tranquilla" al "hai vinto un biglietto di sola andata per camera tua", la nonna si mette di mezzo, prende in braccio la piccola sconsolata che tira su teatralmente col naso e si avvinghia al suo collo come un koala all'eucalipto, per poi guardare te di sottecchi con l'aria di chi te l'ha fatta per l'ennesima volta. Il genitore - TUO - mette il sigillo alla scena dichiarando "poverina, cerca solo conforto, cosa devo fare, mandarla via?!".
- la figlia risulta assolutamente ingestibile o intrattabile per almeno un'ora dopo che la nonna se n'è andata, salvo poi arrendersi al fatto che i tiranni son tornati e che tocca adeguarsi.
Se dopo tutto questo non ti ribolle il sangue allora P.I.P., chiunque tu sia, complimenti.
Ieri, in tempi non sospetti, ho detto a mia madre, con molta calma, che NON DEVE comportarsi così, perché non mi aiuta ad educare la bambina. Risposta? "Dimentichi che anche io ho educato due figli e da sola per giunta! Vuoi che non sappia quello che faccio?!". Brutta risposta, perché a tua volta potresti e dovresti dirle che NO, non lo sa, che sta facendo dei danni, che non è quello il modo di farsi benvolere dalla bimba. Io ho litigato, ho messo i miei paletti e ho detto che da quelli non recedo, trovando un muro di offesa e risentimento dall'altra parte. E per fortuna che non l'ho detto incavolata, sennò figuriamoci. Quando i TUOI genitori si mettono in mente di educare i TUOI figli devi assolutamente intervenire, o almeno così credo, specie se, come nel mio caso, i nonni passano coi nipoti qualche ora la settimana se va bene mentre tu ci passi le regolari 24 ore. Specie, ancora più, se millantano ricordi che non esistono perché sennò la mia baby-sitter deve essere un parto della mia fantasia mentre era con me tutti i giorni, da dopo l'asilo a sera, alle volte anche la notte, fino a sei anni. Io ho deciso, perché POSSO e perché VOGLIO, di dedicare parte della mia vita all'infanzia dei miei figli, di esserci quando tornano a casa dall'asilo, di giocare con loro quando mi vogliono, sgridarli se è per il loro bene, sopportarli se sono stanca o sfiduciata o depressa, riempirli di baci e complimenti a profusione e metterli a letto ogni sera dopo i riti del bagno e della cena. Non biasimo assolutamente chi fa scelte diverse per dovere o per necessità, o anche solo per desiderio di indipendenza o amore per il proprio lavoro. Tuttavia faccio fatica ad accettare che mi si imponga un modello genitoriale quando alla costruzione della mia genitorialità dedico le mie giornate. Fare la mamma e fare la nonna sono cose diverse. Un consiglio di tua MADRE è diverso da un'intromissione della medesima nel rapporto con tua figlia ed io pretendo il rispetto del mio rapporto con la bimba. Chiaramente, non dovessi ottenerlo sulle lunghe distanze, ma spero di no, esistono estremi rimedi. Però, evidentemente, è difficile per il TUO genitore sapere quando cedere il passo o anche solo ricordarsi del fastidio dell'intromissione dei propri genitori nella sua vita. Forse che quell'intromissione non è mai avvenuta ma era attesa? Chissà. Frattanto spero di essere una mamma migliore della figlia che sono, perché tutto vorrei da mia figlia tranne che, un domani, mi dicesse: tu non c'eri mai.

martedì 7 giugno 2011

No, non voglio

A 32 anni mi ritrovo con molte amiche sposate, l'ultima delle quali giusto qualche giorno fa, e dopo 15 anni di fidanzamento, aggiungo. Quasi tutte - anzi, direi tutte - si sono sposate in chiesa, alcune perché ci credevano, altre per far contenti i genitori e/o il compagno (ebbene sì), altre ancora per la scenografia offerta dalla cornice dell'edificio sacro e dalla coreografia del rito. Ho persino filmato, di recente, un amico che officiava una cerimonia in comune con il cellulare e verificato di persona perché sono pochi quelli che si sposano in Comune - o comunque meno di quelli che scelgono la chiesa: il rito civile dura appena 2 minuti e 12 secondi che arrivano a venti minuti, mezz'ora massimo, con le firme e le foto di rito dalla finestra del Palazzo Comunale che da sulla Piazza. Un po' pochino, forse, per giustificare un evento che dovrebbe essere quantomeno singolare ed unico nella vita di ciascuno. Dico dovrebbe perché separazioni e divorzi sono oggi altrettanto di moda e sono ormai sulla scia dei matrimoni quanto a frequenza. Comunque sia, dicevo, a 32 anni mi ritrovo con molte amiche sposate mentre io non lo sono. Sono già M.I.P. bis, ho la mia casa con il suo mutuo, due cani, un lavoro che cerco di portare avanti cogliendo ogni occasione e ho comunque un compagno che, ringraziando il cielo e facendo i dovuti scongiuri, è un ottimo D.I.P., si è messo a lavorare a casa per darmi una mano e non manca di essere il più presente possibile. E comunque non sono "la sua signora", come si dice. Nonostante quanto di buono abbiamo messo su insieme resto "me stessa", "nubile" per usare lo stato civile che mi contraddistingue, "ragazza madre che vive nel peccato" per la chiesa cattolica, della cui opinione, fortunatamente, poco mi interessa. E non mi dispiace affatto. Mentirei si dicessi di non aver mai visitato qualche sito dedicato agli abiti da sposa e di non essermi immaginata in quei panni ma mentirei altrettanto se dicessi che con l'immaginazione sono arrivata sulla soglia della Sala Rossa del mio Comune o di qualsiasi chiesa. Roba da farmi scorrere un brivido giù per la schiena. Perché? Di preciso, forse, non lo so nemmeno io. Quel che è certo è che non sono mai riuscita a vivere l'idea del matrimonio come qualcosa di diverso da una tratta in schiavitù della mia libertà e questo nonostante gli impegni che ho preso verso il mio compagno e i miei figli. Mi è piuttosto difficile vedere il lato cristiano del "sacrificio quotidiano nell'amore di Cristo l'uno per l'altro", quello per cui Cristo entra nel quotidiano attraverso la coppia ed il suo vivere, nel bene e nel male, insieme. Non ci riesco, fondamentalmente, perché non ci credo. Credo al contrario che lo spirito di Cristo sia nei singoli  e che la difficoltà stia proprio nel conciliare quello di ciascuno senza snaturarsi, specialmente in una coppia.  In Matteo 9,16, Cristo dice "L'uomo non osi separare ciò che Dio ha unito", eppure è sempre e comunque l’uomo che decide. Se Dio è uno spirito di vita che vive in ciascuno di noi Egli di sicuro opera per Vie Misteriose e non solo e unicamente attraverso i ministri del culto civile o religioso. Sarà paradossale, forse, ma ho visto il matrimonio fare più danni che miracoli, per questo faccio fatica a pensare che sia un investimento. Il contratto distrugge la tua libertà, la imprigiona e te ne priva come dell'aria. Non ha niente di naturale, niente al confronto dell'essere madre, per dirne una, che apparentemente rappresenta una schiavitù ben superiore. Eppure, il tuo dovere verso i figli è ben lungi da quello verso il coniuge perché i figli non hanno scelto di essere messi al mondo, mentre il coniuge l'ha scelto eccome di sposarti. Nel matrimonio si condivide la responsabilità di avere asservito qualcuno...ed è una gran tristezza. Io è una responsabilità che non voglio, anche se molti chiamerebbero la mia una finta libertà perché, di fondo, anch’io sono asservita alla mia idea. Su questo ho poco di che discutere, è pur vero che la vita è stata ugualmente molto generosa con me e nessuno mi ha mai obbligato a far nulla. Ho potuto conservare la libertà nei momenti in cui tradizionalmente una donna si appoggia al compagno, come il parto, ad esempio. E' stato utile, mi ha fatto capire che non tutto poggia sulle spalle di chi ti accompagna e che le mie scelte hanno un valore. Tuttavia, a fronte di un compagno che, giustamente e da par suo, non è incline al matrimonio e si sposerebbe solo se servisse ai figli per qualche motivo trovo ancora meno motivi per sentirmi "sposa". Se lo farei io per i miei figli? Non lo so, sarebbe comunque una scelta amara perché mi obbligherebbe a prendere un impegno che altrimenti non avrei preso, perché mi legherebbe comunque ad una scelta che scelta non è, perché, di fondo, ho rispetto per chi ci crede, per quelle due persone che compiono un gesto d'amore l'una per l'altra, perché lo vogliono. Ho rispetto di quel sacrificio al punto da rifiutarmi di compierlo, per principio. Il matrimonio non è dei figli o per i figli, ma per i genitori o futuri tali. Forse, non è per me. Di fondo non lo sono neanche i gioielli, eppure il mio compagno ed io abbiamo accettato di portare una fedina come segno di impegno. Forse è l'unico metallo che mai porterò, anche se qualche volta mi pesa. Per questo, forse, ha valore, allora. E' una promessa senza testimoni, ma è tangibile e visibile e non vale certo meno. Non sono una donna da brillanti, né persona dalla promessa facile, ma se prometto, allora devo mantenere sul serio e non c'è firma o testimone che tengano. E se non ci riesco, si dirà? Già, può essere, ma non è questo il giorno. E se cambiassi idea? Tutto è possibile ma non penso potrebbe essere mai per indossare un vestito per un giorno soltanto, senza contare che se resto dal parrucchiere oltre un'ora do in escandescenze, quindi figuriamoci!