giovedì 28 aprile 2011

Don't scream, take a five, then breathe out - Non gridare, conta fino a dieci, poi espira


Have you ever thought about the value of calm? I've come across it a thousand times and I've started to consider it seriously just very lately. It's not hard to recall how many times I've been told off to "speak softener", because my voice was too loud; how many times I've been advised to "think twice" before talking, and how few times I've paid attention to such matters. Of course, when you come to think of it, you must realize something deep within has changed for good...and you're not young and restless anymore. Probably it's one of the very first steps in adulthood to come to terms with calm and realize how nice and important it is. It's hard to explain how annoying it's become to me to read and listen to angry people, constantly using a foul language to speak to others, simply because they do not share their very same vision of life. People are usually very unforgiving when it comes to deep differences, I guess because it's easier to demonize them than to accept them and trying to live with them. I may not agree with someone, but that's no excuse to offend him, or worse, to badly scold him. Sometimes it's very very hard to stay calm though, that has to be said too. It almost feels like "bearing the oppressor's wrong", defenseless against merciless and insulting words that, sometimes, really cut like swords, though maybe senseless and undeserved. It's hard to say to yourself you should not care, to pretend those words should have no effect on you, because they're not true. Fact is, you do care and those words are effective, no matter if they're true or not, because they're meant to hurt. In fact, I believe it's the strong will to hurt which lies behind them that leaves us speechless. It's hard to accept other people can be so mean, and for such poor reasons sometimes. I believe it's a feeling that's hard to like in any way. So, before replying, I think it would be better to take five and think of what we would not like to hear.  Words are very powerful means which should be used only in a proper way. People using a poor and yelled language are no different from barbarians handling axes and not very much evolved from wild beasts. Of course they're to be considered seriously but not feared. A well-used sword can be much more effective than any barbaric weapon. So do not yell back, keep looking in your opponent's eyes, take that blessing five and then, just then, answer, if you think it's worth it. That's a lesson I wish I'd learnt a few years ago. It would have saved me many excruciating discussions and maybe some lost friendships too. After all, I've come to consider the richness of diversity as a quality of a good friendship. Being different is a way to keep learning from each other. And being respectful is the key to accomplish a worthwhile relationship in time. 
Sometimes taking that five is hard, but when you make it...wow, it feels like winning a battle and, moreover, to your hardest contestant: yourself. And it has nothing to do with hesitating, it's just using your time and words the way you think it's best. So I've come to like people who stay calm much more than those who scream. It feels like the first are on the right track.  Hope my kids will discover all this much sooner than I did. It would be of great advantage to them in life. it's just...it's harder when you're young, and this because your idea of time is more a "now or never" like than a "sooner or later". It's black or white instead of shades of grey, it's pride of labels shown on your sleeve rather than the awareness brought up by a hardly-conquered self-esteem you tend to keep for yourself. Guess it's the way nature works. After all, all the energy you lose when growing must leave room for something else...mustn't it?

Avete mai pensato all’importanza della calma? Io migliaia di volte, e tuttavia ho cominciato a prendere questo pensiero seriamente in considerazione solo negli ultimi tempi. Non so quante volte mi è stato detto di “parlare più piano” perché la voce era troppo alta, o di pensarci “due volte” prima di parlare e, viceversa, quante poche volte ho badato a  questi consigli. Ovviamente, quando si comincia a rifletterci su, significa che qualcosa è cambiato per sempre…la gioventù spericolata è finita. Forse, venire a patti con la calma e rendersi conto di quanto sia gradevole ed importante è uno dei primi passi che effettivamente si compiono nell’età adulta. E’ persino difficile spiegare quanto sia diventato fastidioso leggere e ascoltare persone rancorose, che, nel rivolgersi agli altri, adoperano costantemente un linguaggio scurrile, semplicemente perché non ne condividono la stessa visione delle cose. La gente è spesso impietosa quando si trova di fronte a differenze profonde, credo perché sia più facile demonizzarle che accettarle e cercare di conviverci. Io posso anche dissentire da qualcuno ma questo non mi da il diritto di insultarlo o, peggio, di prenderlo a male parole. Tuttavia, c’è da dire che, a volte, restare calmi è un’impresa. Ci si sente come se si stessero “sopportando le angherie del tiranno”, inermi di fronte a parole impietose ed offensive che, a volte, feriscono davvero più di una spada, seppure prive di senso e immeritate.  E’ dura dirsi che non ci importa, che quelle parole non hanno peso perché non sono vere. In realtà, ci importa eccome, e quelle parole un peso ce l’hanno, anche se non conoscono verità perché nascono al solo scopo di ferire. In effetti, credo che, di fondo, sia la forza dell’intento lesivo che soggiace loro a lasciarci ammutoliti. E’ dura accettare che certa gente possa essere così meschina e, a volte, per motivi davvero futili. E’ una sensazione difficile da digerire, ad ogni modo. Quindi, prima di rispondere, credo sarebbe sempre meglio contare fino a dieci e riflettere su ciò che non si vorrebbe sentirsi dire. Le parole sono un’arma potente che dovrebbe essere utilizzata solo nel modo giusto. Chi usa un linguaggio becero e urlato non è dissimile da un barbaro che brandisce un’ascia e non è granché più evoluto di una fiera selvatica. Ovviamente c’è da tener conto anche di gente del genere, ma non si deve affatto temerla. Una spada usata con perizia funziona sempre meglio di qualsiasi arma primitiva. Perciò non si deve urlare di rimando, ma, sempre fissando il proprio antagonista negli occhi, bisogna prendersi quei benedetti dieci secondi e allora, solo allora, rispondere, se si crede che ne valga la pena. E’ una lezione che avrei voluto imparare prima. Di sicuro mi avrebbe risparmiato qualche discussione estenuante e, forse, qualche amicizia persa. Dopotutto, mi sono resa conto che la diversità, in amicizia, è una ricchezza. Essere diversi è un modo per seguitare ad imparare gli uni dagli altri ed essere rispettosi è la chiave per mantenere una relazione produttiva nel tempo.
A volte i dieci secondi di rito sono una sfida ma se ci si riesce…wow, è come vincere una battaglia e non contro un avversario qualsiasi ma contro il peggiore: sé stessi. E non ha niente a che spartire con l’esitazione, perché significa solamente usare il proprio tempo e le proprie parole come meglio si crede. Perciò, nel tempo, ho imparato ad apprezzare chi mantiene la calma molto più di chi strilla, perché da l’idea di aver preso la strada giusta. Spero solo che i miei figli ci arrivino prima di me perché è solo un vantaggio nella vita. E’ che…è dura quando si è giovani, perché il tempo è tutto un “ora o mai più” piuttosto che un “prima o poi”. Tutto è bianco o nero invece che una scala di grigi, è un’etichetta sulla manica esibita con orgoglio piuttosto che una consapevolezza nata da un’autostima faticosamente conquistata e che si tende a tenere per se. Probabilmente è solo un modus operandi della natura. D’altra parte, tutta quell’energia che si perde crescendo dovrà pur lasciare spazio per qualcos’altro…o no?

centro sociale - recreation center?

Oggi non scrivo in inglese perché farei fatica a trovare le parole giuste. Vorrei che però un giorno, leggendo questo post, i miei figli imparassero qualcosa sul pregiudizio e sul buonsenso.
Ho cercato la locuzione "centro sociale" in inglese su vari dizionari trovando una serie di definizioni, molte irripetibili, alcune profondamente offensive, a mio avviso. La maggior parte non riflettono assolutamente quella che è una locuzione "culturally-embedded", cioè di matrice puramente nostrana. Il fatto è che questo tipo di associazionismo nei paesi anglosassoni difficilmente esiste se non per nulla, come non esiste l'idea che siamo tutti uguali con uguali diritti come molti aderenti a varie tipologie dei centri sociali italiani sostengono. Al massimo, esiste l'idea che se anche siamo tutti diversi abbiamo comunque gli stessi diritti, ed è un ragionamento che, personalmente, preferisco. Questo concetto un po' ingenuo del centro sociale come focolaio di sopravvivenza dell'idea comunista più ancestrale, ereditato dal comunismo partigiano, io credo, non trova spazio in paesi la cui cultura, fin dalla base, spinge avanti solo il più forte o il più meritevole. Prendendo in prestito una metafora naturale, se nei paesi anglosassoni vige la legge della giungla, in Italia vale la regola del banco di sardine. Infatti, come per le sardine appunto, se siamo tutti uguali e con uguali diritti non ci resta che "l'unione" che "fa la forza". La forza è nel gruppo, non nel singolo.
In questi giorni sto imparando, a mie spese, che preferisco essere una tigre che una sardina, anche se mi tocca lottare per la sopravvivenza, anche se mi tocca dimostrare ogni minuto che ho diritto a vivere e a vivere bene. Nei paesi anglosassoni un centro sociale è al massimo un "recreation center", cioè un posto dove giovani e/o anziani possono ritrovarsi per trascorrere insieme il proprio tempo libero e questo indipendentemente dal fatto di riconoscersi in una qualche corrente politica.
Nei paesi anglosassoni è difficile immaginare un'occupazione abusiva di giovani di qualsiasi luogo pubblico, o che qualcuno possa protestare millantando il diritto acquisito ad uno spazio pubblico a prezzo di favore se non a costo zero, a scopi culturali ma per fare, di fatto e se va bene, lotta politica. E' difficile perché se capitano cose del genere, si finisce in gattabuia senza passare dal Via, come a Monopoly. In posti del genere, se vuoi qualcosa, o lo paghi o te lo devi guadagnare in qualche modo. In Italia, spesso e volentieri, i centri sociali, specialmente quelli giovanili, usano l'associazionismo come scusa per mettere in piedi attività ludiche a costo zero. Quel che mi fa più imbestialire, in questo senso, è che si trincerano dietro presentazioni pubbliche da libro stampato, parlano di socialità, benessere civico, attenzione ai bisogni della cittadinanza per poi finire ad organizzare rave party, e non importa se a cinque metri dall'orecchio di un bambino di pochi mesi. Purtroppo lo dico per esperienza acquisita, perché a quel genere di feste e in quel genere di posti andavo anche io dieci anni fa. Di buono c'era che noialtri si andava fuori, in campagna, lontano da abitazioni ed esercizi pubblici e privati. Insomma si poteva fare tutto il casino del mondo per quindici euro all'anno e fino a tardi che nessuno aveva da ridire. E non è che tutti avessimo l'auto: si andava anche in motorino, ci si organizzava con chi aveva l'auto del babbo o della nonna, la panda da due soldi che andava giusto a spingerla e si accettava il rischio di poter restare a piedi - cosa che, peraltro, non accadeva mai. Il mio era un "circolo ARCI", direi un vero e proprio "recreation center", come le bocciofile o i centri per anziani, solo a tempo di rock n' roll e, qualche volta, di heavy metal. Ragazzi quelli sì che erano tempi! E magari di posti così ne esistono ancora, basta cercarli! Poi c'è l'altra faccia della medaglia: il centro sociale in città, a pochi metri da abitazioni e negozi, e lì sono dolori. Sono dolori perché, obiettivamente, chi ci abita ha tutto il diritto a vivere sereno, a dormire la notte e a rientrare a casa tranquillo senza correre il rischio di essere importunato o peggio pestato o addirittura rapinato. E questa, intendiamoci, non è direttamente colpa di chi organizza le serate, perché logicamente non può prevedere chi sarà presente, e magari si tratta in sé di brave persone, Tuttavia, la loro, e purtroppo consapevolmente, è una colpa indiretta. Spesso sanno perfettamente di non essere in grado di contenere questo tipo di fenomeni, di non avere risorse per creare un clima idoneo allo svolgimento di certe attività ricreazionali (una casa non è un teatro o una sala da concerti e spesso i centri sociali dispongono di poche centinaia di metri quadri in stabili di proprietà comunale), di non poter offrire né tanto meno garantire sicurezza, tranquillità e vivibilità a chi abita dattorno alle loro sedi. Spesso, sono più interessati al proprio tornaconto che altro, perciò si battono, anche con metodi discutibili e spesso illegali, per avere degli spazi da utilizzare, indipendentemente, a volte, dalla loro capacità di gestirli adeguatamente e senza curarsi minimamente degli effetti che questo può avere su chi li circonda. E allora la socialità, il diritto uguale per tutti che fine fa? Beh, facilmente evapora come l'alcool in un bicchiere di birra: rapidamente e senza lasciare ricordi sostanziali. In sostanza, sono ragazzi, giovani che desiderano una valvola di sfogo a costo minimo (meglio se zero), il che non è nemmeno sbagliato, ma che, come panzer e come gli stessi kapò che millantano di voler combattere, vanno avanti per la propria strada per ottenere quello che vogliono, a qualsiasi costo e fregandosene del prossimo. E' questo che me li fa detestare come pochi, l'assoluto disrispetto per una democrazia minima, la stessa che sbraitano di voler promuovere. E, tutto ciò, trincerandosi dietro i "diritti dei giovani". Direi che anche io sono sufficientemente ancora giovane per rivendicare gli stessi diritti. Solo che a me interessa il diritto alla tranquillità mia e dei miei figli, al riposo, alla sicurezza di non trovare rifiuti di ogni genere, anche medico-sanitari, sparsi nel giardino di casa. La parola chiave è questa, "casa". Io non rivendico questi diritti fuori casa ma dentro, ed è casa mia, col suo bel mutuo e le bollette da pagare a mio carico. Il mio diritto alla sicurezza al Comune costa la fatica di cercare una collocazione per un centro sociale che non sia a 5 metri da casa mia. Ai frequentatori del centro sociale costa la fatica di organizzarsi per uscire dal centro urbano anche se, persino qui dove abito, si può dire che siamo fuori dato che l'autobus dopo le 17.30 non passa fino al mattino dopo. Chiedo molto se chiedo perché me li devo trovare a divertirsi fino alle ore piccole a pochi metri dalla camera dei miei figli? Oltretutto con esempi di centri sociali, e ne esistono, di cui non si lamenta nessuno perché, nel loro piccolo, sanno organizzarsi, anche in città. Dico, ma solo a me devono capitare gli sfattoni arrabbiati che fanno e ascoltano musica ska senza avere nemmeno i soldi per insonorizzare  le pareti? Mah...

venerdì 15 aprile 2011

Babies like habits - I bimbi amano la routine

Three and a half months from my second child's birth, I daresay it's true: babies like habits. The third month's proven to be a turning point twice now: the crusader, just like 50Grillo before him, has evolved showing he likes habits more than anything else. My guess is they make him feel safe. He's now adopted more regular times for everithing, from feeding to sleeping to playing. He's started to show the world he's reactive, he's all smiles to the people who smile at him and appears to be attracted by the very colourful cartoon his sister loves. His levels of attention are definitely higher than before and he get quite tired more regularly. He's started to fight sleep the less and less, to the point it's almost two weeks he goes to bed at his sister's time without any protest. He's also started to show an interest for the carousel hanging over his bed and broadcasting Tibetan bells sounds . Last but not least, it seems he got to realise eating at regular times substantial quantities of milk is more satisfying than giving a few sips every now an then. As a result, we've moved steadily to 5 bottles of 200 ml. per day. JUST-LIKE-HIS-SISTER-DID-AT-THIS-AGE! The baby likes habits. I really don't know if it's just my children, but I'm starting to believe it's a general thing. Some children are just harder to convince habits are better but, once you've made it,  it's a win-win. God bless the third month and P.I.P.'s dedication and perseverance to get there...really!
A tre mesi e mezzo dalla nascita del mio secondo figlio posso azzardarmi a dirlo: ai bambini la routine piace. Sono già due le volte in cui il terzo mese ha significato un serio punto di svolta: il crociato, proprio come 50Grillo prima di lui, si è evoluto mostrando un amore per la routine superiore a qualsiasi altra cosa. Immagino che lo faccia sentire più sicuro. Il bimbo ha ora tempistiche decisamente più regolari in tutto, dal cibo, al sonno, al gioco. Ha cominciato a mostrarsi reattivo, sorride a tutti quelli che gli sorridono e sembra attratto dai coloratissimi cartoni animati che sua sorella adora. I suoi livelli di attenzione sono indubitabilmente più alti di prima, il che determina che si stanchi in minor tempo e maggiormente. Combatte il sonno con sempre minor convinzione, tanto che sono quasi due settimane che viene messo a letto alla stessa ora della sorella senza cenni di protesta. Sembra anche aver iniziato a degnare la giostrina appesa sul suo letto che trasmette i suoni delle campane tibetane. Infine, e ciò nondimeno, pare si sia accorto dei vantaggi insiti nel bere quantitativi di latte più seri per meno volte al giorno rispetto alla tecnica dei due sorsi e via ogni cinque minuti. Come risultato ci siamo stabilmente attestati sulle 5 poppate al giorno da 200 ml. l'una. PROPRIO-COME-LA-SORELLA-ALLA-SUA.-STESSA-ETA'. Al piccolo piace la routine. Non so se sono i miei figli ad essere così ma comincio a pensare che sia una cosa generale. Per alcuni, ci vuole solo più tempo a convincerli che la routine è più vantaggiosa ma, una volta riusciti nell'intento, ci si guadagna tutti. Dio benedica il terzo mese e l'impegno e la perseveranza dei P.I.P. nell'arrivarci!

lunedì 11 aprile 2011

glass bottles and pacifiers - biberon di vetro e ciucci

Before The Crusader arrived, I thought of glass bottles as of a relic from the 50's, something that belonged to our parents' early days, when grandmas could not breastfeed and had no chance to get a wetnurse. I thought they'd be quite expensive tricks even back then, so that not many people could afford to have some. So when The Crusader happened to refuse all of the plastic bottles mounting silicone nipples that had been so useful with his sister, I realised I had never considered any alternatives. Then  my mom - oh moms, how could we do without them? - bought a glass bottle mounting a natural rubber nipple and both mom and baby were on cloud nine. The main cons of the thing - being heavy and generally dangerous around toddlers - are totally compensated by the pros: the bottle is easier to be cleaned and sterilized and the exceeding weight compared to a plastic one becomes quite useful at night when mommy's alert is lower. Holding the bottles keep staying awake. 
Thumbs up for the glass bottle! 
The boy is also a big and expert sucker. He's such in need of sucking that he's become best friends with his right thumb. Alarmed by this, MIP and DIP have been sponsoring any pacifier around the house to take the thumb's place. Of course, as for the bottles, the pacifier cannot be made of silicone. It must be full natural rubber made, better if dressed with a drop of honey from time to time, just to encourage the first approach. The boy's not to be fooled around: you pick the wrong bottle or pacifier and you're dead, or at least your ears are. As stubborn and touchy as he's shown to be by now, the boy can get easily offended if you don't play your part the way he expects you to. So we've quickly learnt how dangerous it can be to be out without a pacifier...no better name for the thing, really.

Prima che arrivasse il crociato credevo che i biberon di vetro fossero una sorta di residuato degli anni ’50, qualcosa che aveva a che fare con l’infanzia dei genitori, quando le nostre nonne non potevano  allattare né permettersi una balia. Tuttavia pensavo che anche per allora dovessero essere degli oggettini non proprio a buon mercato e alla portata di tutti.
Perciò quando il crociato ha mostrato un serio disinteresse per tutti i biberon di plastica a tettarella in silicone che per sua sorella erano stati un must, mi sono resa conto di non aver mai neanche preso in considerazione un’alternativa. Poi mia madre – ah le mamme, come fare senza? – ha comprato un bibi (è così che chiamo il biberon) di vetro con tettarella in caucciù e MIP e bebé hanno raggiunto il settimo cielo. I principali difetti della bottiglia – il peso e la pericolosità nei pressi degli infanti – sono compensati totalmente dai pregi; il biberon si lava e si sterilizza prima e meglio e il peso in eccesso rispetto ad uno di plastica si rivela di una discreta utilità, in particolare la notte quanto la soglia di attenzione della mamma è più scarsa. Tener su il biberon, a quel punto, aiuta a stare svegli.
Evviva il bibi di vetro!
Il bimbo è poi anche un succhiatore di professione. Ha una tale necessità di suggere che il pollice destro è diventato il suo migliore amico. Allarmati da ciò, MIP e DIP sono corsi ai ripari, sponsorizzando qualsiasi ciuccio alla sua portata avessimo in casa al posto del dito. Ovviamente, però, neanche il ciuccio può essere un ciuccio qualunque. Se è fatto di silicone non c'è pezza che lo voglia: solo realizzato INTERAMENTE in caucciù naturale, sennò "sput", e, occasionalmente, condito con una goccia di miele per addolcire l’approccio. E che non si provi a prenderlo per il fondoschiena, il piccolo non ci casca: bibi o ciuccio sbagliati ed è la morte delle tue orecchie. Se non ti comporti come lui si aspetta, cocciuto e suscettibile com’è, s’offende pure, e parecchio. Perciò si è presto imparato che è pericoloso uscire senza ciuccio. In inglese si chiama “pacificatore”… mica a caso!