giovedì 25 novembre 2010

"They may take our lives but they will never take our freedom"

Una Citazione con la C maiuscola per cominciare. Oggi mi sono trovata per una mezz'ora a riflettere su quella parola così abusata che è "libertà" e a chiedermi per l'ennesima volta quale sia il valore che le do e che intendo trasmettere ai miei figli. Credo sia fondamentale che un PIP abbia le idee chiare su una parola come questa e non smetta mai di darsene ragione. E' una parola più grande di ciascuno di noi che, nel contempo, ci calza come un vestito nuovo se la sappiamo usare. Il problema è che sono più le volte che ce ne sentiamo privi di quelle in cui crediamo di esercitarla a pieno titolo. In molti casi credo che i conflitti e le incomprensioni nascano proprio dalla presunzione del diritto alla libertà. Nella mia seppur limitata esperienza, la libertà non è un diritto ma è natura, come credo Rousseau avrebbe sostenuto. La differenza tra me ed un qualsiasi altro mammifero sta nel distinguere che, in una società civile o che si fa chiamare tale, essa è inevitabilmente connessa alla responsabilità che comporta. La mia libertà deve quindi, per forza, terminare laddove quella altrui comincia. Con i figli però è dura. Per motivi educativi, connessi all'età e allo sviluppo, per lungo tempo i genitori ingabbiano e veicolano le libertà dei figli, spesso e volentieri finendo per dimenticare che non la posseggono e che non si identifica con la loro. Ritengo sia quindi importantissimo non dimenticare che è necessario insegnare ai figli ad essere responsabili per essere liberi. Non c'è libertà senza una scelta consapevole e viceversa. La libertà non è di nessuno ma è connaturata in ciascuno. Per questo nessuno può darla o toglierla. Chi se ne arroga il diritto, a mio avviso, è solo un illuso. Chi si batte affinché ciascuno conservi e maturi la propria responsabilità all'esercizio della libertà è un eroe. Nessuno vuol dire che sia facile. Indicare ad un essere umano la via verso la responsabilizzazione è quanto di più rischioso e difficile esista nel mestiere di un PIP ma è necessario. Vorrei davvero che un domani i miei figli fossero consapevoli di quanto questo sforzo sia premiante e totalizzante, nonostante l'estrema difficoltà. Mi impegnerò moltissimo in questo.
Mi impegnerò a rispettare le loro scelte quando saranno responsabilmente in grado di compierle e mi batterò affinché la loro volontà sia rispettata. Immagino che di fronte a certe prove della vita queste belle parole possano quasi perdere significato. Appunto, quasi. Se mi dimenticherò questa lezione spero che ci sia qualcuno a ricordarmela perché altrimenti non ritengo mi potrò definire un buon genitore. Penso ai genitori che si trovano con figli malati, incoscienti, in fin di vita. Penso ai figli "perduti" negli eccessi e nella vanità. Ma penso anche che se lavorerò per insegnare il valore della libertà ai miei figli non li perderò mai, perché quella libertà non gliela porterà mai via nessuno, nemmeno io. La vita ha il suo corso, la libertà il suo prezzo ma chi è disposto a pagarlo non muore mai davvero.

lunedì 22 novembre 2010

Sintesi del senso materno: "Schiave, pensavo, siete diventate schiave"

Ieri, sulla rivista Vanity Fair, ho letto un articolo dedicato ad un libro scritto da Silvia Nucini che si intitola: "E' la vita che sceglie". L'articolo prende ad esempio dal libro la storia di una tale Enrica. La signora, quarantenne e non proprio amante dei bambini e delle relazioni stabili, o così pare, regala alcune perle di saggezza tra cui il commento che ho virgolettato nell'oggetto del post e che, direi, ne sintetizza la posizione rispetto alla maternità. Le sue amiche che hanno avuto figli, così dice "Dopo il bambino non erano più quelle di prima" perché la maternità "Non porta solo alla distruzione del corpo ma anche a quella del cervello". Le poverette, colpevoli di fare "discorsi assurdi su pappe, merda e pannolini" vengono dipinte alla stregua di automi alle complete dipendenze dei figli.
Senza dilungarmi oltre, ad esempio sul tipo di famiglia che questa donna vorrebbe per il proprio figlio ("Vorrei che il mio bambino fosse condiviso, che stesse un pò con me e un mese a casa di una mia amica perché io ho troppo da fare per stargli dietro o anche solo perché ho voglia di stare da sola...è la forma dislocata di allevamento dei bambini di una volta, che diventavano figli di molti"), dico solo che alla fine della lettura ho provato una serie di sentimenti contrastanti. Il primo? Rabbia direi. Il secondo? Pena. Per arrivare alla compassione ci ho messo davvero troppo, per i miei gusti. E' anche vero che sono incinta e sicuramente più umorale ma di fronte a certe affermazioni faccio fatica a trovare in me il rispetto per chi le pronuncia. La leonessa che è in me surge prontamente, per così dire. Come essere umano, però, ho il dovere di pensare, di capire, di accettare anche posizioni così estremamente diverse, il che, assicuro, è davvero difficile. Anzitutto è difficile perché, come in natura non tutte le femmine sono buone genitrici, così tra gli esseri umani, e accettare questa cosa è dura. Non è che tutti i mammiferi abbiano cure parentali per i cuccioli, in alcuni casi li abbandonano proprio a se stessi col risultato che, o ci pensa qualcun altro - vedi altre femmine che se ne fanno carico - oppure muoiono. Ergo, l'istinto riproduttivo NON comporta necessariamente la capacità di CRESCERE la prole. Se di fronte ad una tigre che rifiuta i suoi cuccioli neonati ci si può dispiacere, però, di fronte ad una donna che, pur non amando l'idea di diventare madre, lo vuole ugualmente, per dimostrare che "è possibile crescere figli in modo non convenzionale", a me, personalmente, cascano le braccia.
Cara signora Enrica, dovunque lei sia, mi consenta di fare cadere a lei le braccia per un secondo con il mio punto di vista - tanto io non verrò pubblicata su Vanity Fair. Non ho idea di che amiche lei abbia, ma posso immaginarle abbastanza bene, credo, quelle che lei chiama "Schiave". Posso perché io apparterrei alla categoria in pieno, anche se, con poche amiche con figli, normalmente quando esco è difficile che parli di escrementi e pannolini di mia figlia. Eppure, signora Enrica, "schiava" proprio non è il termine. Semmai "Serva" perché io, la mia libertà di decidere se essere madre o se essere semplicemente fattrice, quale lei si propone, l'ho esercitata appieno e mi sono messa "al servizio" del mio cucciolo perché non c'è altro modo di sostenere una vita e permetterle di svilupparsi in autonomia ed identità altrimenti. E' un sacrificio? Certo che lo è, ma sacrificio contiene la parola "sacro" mica per sbaglio ed un genitore non è tale se non è in grado di capire questo. Cara signora Enrica, "produrre" meramente un cucciolo umano non significa affatto essere madre o padre, significa semmai dimostrare che il proprio apparato riproduttivo funziona. Punto e stop. Se lei pensa che si possa essere genitori quando se ne ha voglia, forse le conviene prendere un pesce rosso, davvero si risparmia un sacco di grane, anche legali, se proprio vogliamo. Genitori si diventa, anzitutto, per scelta. Si sceglie di servire, di investire in una nuova vita e l'investimento maggiore è tutto fuorché economico.  I figli costano, o meglio, VALGONO tanto quanto la vita che il genitore è disposto a spendere per loro. E, signora Enrica, checché lei possa pensarne, i figli, di questo SE NE ACCORGONO! Se lo faccia dire dai milioni di figli di genitori separati o divorziati o con problemi. Se lo faccia dire dai figli emarginati, abbandonati, caricati di responsabilità ed aspettative quando neanche sapevano allacciarsi le scarpe. Quanti di questi figli sono esseri umani felici? Quanti non hanno problemi? Cara signora, essere genitore COSTA ma VALE. Se lei non è in grado di accettare il prezzo, perché vuole mettere al mondo una creatura? E' come prendere un cane al canile e chiuderlo in una stia dietro casa, ma che senso ha? C'è una bella differenza tra schiavi e servi, signora Enrica, se lo faccia dire. E se c'è uno schiavo in questa pantomima, mi permetto di osservare che semmai quello è lei: prigioniera di un'idea di libertà che è schiavitù di se stessi, del proprio ego, della propria indipendenza. 
Cara signora io pulisco escrementi e rigurgiti, lavo abitini tutti i giorni, canto per calmare la mia piccola, soffro d'insonnia se piange di notte per qualsiasi motivo, mi sento a volte frustrata perché non sono in grado di capire i suoi segni, i suoi bisogni. Però, signora Enrica, io sono una MIP ed una MIP felice, tanto che sto aspettando un altro bimbo, pronta all'ignoto della prossima avventura. Io, signora, spero solo di fare del mio meglio non perché mi aspetto un tornaconto personale, ma perché in questo modo gli esseri umani che avrò aiutato a crescere un domani saranno migliori di come lo siamo stati noi e potranno contribuire ancora meglio all'evolversi della nostra specie. Il mio tornaconto è la vita che avanza perché non c'è altro scopo nello stare al mondo, almeno per me. Ed io non mi sento nobilitata perché pulisco il sedere di mia figlia ma perché vedo nel suo crescere quotidiano che il mio tempo, il mio amore hanno un VALORE che trascende persino il mio impegno. Perciò, signora cara, se non vuole uscire dalla prigione del suo egoismo, la prego magari, solamente, di pensare che farci entrare anche un altro poveraccio incolpevole non è il massimo. Sì, signora, perché quel bambino che lei desidera  con il suo egoismo non c'entra niente, perché il poveretto, alla nascita, ha BISOGNO di un genitore altrimenti muore e se lei non è disposta ad assumersi questo impegno non è detto che ci sia chi, intorno a lei, è disposto a farlo. 
Spero di essere stata abbastanza empatica nell'affrontare la questione anche perché, giuro, la prima reazione non era pubblicabile per iscritto...W tutti i MIP e PIP del mondo. Siete impegnati nella più grande avventura della vita, non dimenticatelo mai, specialmente quando dovete contare fino a dieci nei momenti no!!!

mercoledì 10 novembre 2010

Stanchezza, frustrazione e caterpillar...l'avvio del terzo trimestre

Palla al centro...calcio d'inizio. Il terzo trimestre è partito col botto. Non ho idea di come siano messi i livelli ormonali ma certo l'escalation della stanchezza sta prendendo il sopravvento. G.I.BABY on the way si sta preparando alla guerra, inesorabilmente e metodicamente. Calcioni, forse cazzotti (che comunque non distinguo) e stretching da parte a parte dell'area consentita (diagonale della pancia): mi sa che non posso più esimermi dall'allinearlo alle posizioni sostenute da altre MIP in attesa di maschietti. Sarà anche un luogo comune ma ci sarà per forza un fondamento se su questo punto c'è concordia tra le singole esperienze. 
In ogni caso apprezzo il metodo: G.I.BABY ha orari e modalità da soldato. Un caterpillar...ed in effetti anche la sua MIP, per prepararsi in vista di qualcosa di importante, è sempre stata sulla stessa linea. Non parliamo poi della sorella di quasi 14 mesi che sta prendendo possesso di ogni angolo della casa e del giardino alla velocità di un'anguilla in fuga: un mostro di precisione e prevedibilità, il metodo ce l'ha nel sangue. Non che il PIP non sia a sua volta esempio di dedizione e metodo...eh, qui c'è della materia prima che non scherza affatto.
Per sostenere il crescente impegno del momento, sono tornata in piscina, nella mia amata acqua, dove pare che G.I.BABY si acquieti per almeno un'ora senza muover membro. Ok da wonder swimmer mi sono auto-declassata al corso pre-parto ma cerco di andarci due volte a settimana e faccio del mio meglio. L'acqua rilassa, raffredda, rasserena. Alla seconda gravidanza mi concedo di non preoccuparmi per la frustrazione o l'esaurimento extra e di considerare la cosa per com'è: passeggera. Onestamente? Quasi qualsiasi attività diventa sempre più uno sforzo, chi ti chiede favori ti appare come un bieco e cieco approfittatore della tua buona volontà che manderesti sul trono di ceramica per direttissima con dissenteria fulminante da indigestione di olio di ricino...e capita spesso e volentieri di sentirsi inadeguati perché non si gioca abbastanza con l'altro figlio, perché non si ha abbastanza pazienza, perché ci si lamenta e si ripete che si è stanchi. Beh...diversamente dalla prima volta, quando tutto questo scatena, o può scatenare, violenti sensi di colpa, la seconda ci si perdona un po' di più. Non è facile permissivismo, è puro ISTINTO DI SOPRAVVIVENZA. E' l'equivalente del ruggito inc****to della leonessa che vuol essere lasciata in pace dai cuccioli, niente di più. Serve anche sapersi perdonare, altrimenti il carrarmato si inceppa e l'avanzata pure. Ho imparato che quattro belle urla ben indirizzate, specialmente se davvero necessarie, aiutano a vivere meglio. Può dispiacere, ma è sano e non c'è niente di male. Le MIP hanno bisogno che qualcuno quelle urla le ascolti ogni tanto. Io sono fortunata, ho a fianco un PIP molto presente che addirittura mi fa la predica se non chiedo aiuto. Non per tutte è così, ma il concetto non perde validità per nessuna. E adesso vado a consolarmi con un cioccolatino...

mercoledì 3 novembre 2010

Il battito animale

Un PIP non ha niente di diverso da un qualsiasi altro animale con cuccioli, anzi, finché non sei PIP, di tanti comportamenti o reazioni istintive non hai neanche idea. D'improvviso, però, qualunque possibile minaccia ai danni del tuo cucciolo ti fa rizzare i peli del collo e per evitare di abbassare la guardia stai in perenne allerta (che gioia per i nervi, si dirà, ma la Natura le cose le fa raramente a caso...quindi è tutto calcolato). Non ho mai riflettuto veramente sul versante morale di quello che io chiamo "il battito animale" dall'omonima canzone in quanto ho sempre pensato che fosse proprio la sua naturalità a renderlo giusto. Alle volte però bisogna davvero contare fino a dieci (quando va bene) per contenere questo battito ed è lì che deve o dovrebbe tornare fuori il lato umano, adulto e responsabile. Tuttavia, nonostante queste belle parole di buon senso, restano per la MIP presente due pensieri per ora immodificabili inerenti a situazioni che spero di non dovere affrontare mai: 1- se qualcuno dovesse, in qualsiasi modo, fare dl male ai miei figli, finché non sono in grado di difendersi da soli, l'unica legge a cui risponderei sarebbe quella della jungla. 2- se dovessi vedere qualcuno nuocere volontariamente ad un bambino, anche non fosse mio figlio, non credo che sarei più clemente di Shere Khan o ragionevole del Re delle Scimmie.
E' così terribilmente facile condannare chi nuoce ad un bambino, e soprattutto farlo con rabbia, che è quasi spaventoso. D'altro canto chi nuoce ad un bambino, malato o meno che sia, non si comporta da essere umano, quindi da qualche parte l'inghippo deve stare. Forse dovremmo dare retta all'istinto come ad una bussola e alla ragione come ad un'arma. In effetti sparare senza prendere la mira o saper usare la pistola non è particolarmente furbo...