lunedì 28 febbraio 2011

SPARKLES OF RAGE - SCINTILLE DI RABBIA


Rage is definitely a tough feeling. It sort of poisons you like a venom and for a few instants it feels like you're not completely in charge of yourself. It's very unconfortable actually, because it reminds you quite well that some instincts are hard to overcome. It's uncomfortable because, no matter what you do or how hard you try, sometimes rage can take the lead and leave you at its mercy, caged in the deepest regions of your being, uncapable of controlling that berserk animal your body has turned into. It's a fight, not to mention a very tough one, not to give in to your wildest side, which always lies there somewhere, ready to jump in and strike you down, vanishing any efforts you've been making to stay calm and rational, to let sleeping dogs lie. It's enough to lower your guard a second too much to let the beast escape the cage, and that's easier to happen when you're sleepless, tired or ill (my case today).  Then the fight begins and you need to line up all your weapons not to succumb and that’s not easy for sure. Today I was an inch away from slapping my daughter in the face. It's hard for me to come to hands with her and when I do is out of extreme frustration and basically done with the purpose of setting a point strongly enough to have her remember the moment in association with the bad thing she's just done. Today, though, she collected a full series of you-musn't-do-this kind of things in the blink of an eye and she managed to make me lose my temper completely. The series included entering the kitchen- which is forbidden- playing with the jars in the cupboard - twice as much as forbidden considering they've been put as far away as possible from her sight and touch - smashing a jar of mushrooms in oil to the ground in front of the sofa - you might not want to do that - putting herself in danger by managing the broken glass and, eventually, making the biggest fuss around by stamping greasy footsteps of her socks soaked with oil all over the place.

It sufficed me to hear the sound of broken glass to panic. I should specify her brother had put me through one of the toughest asleep nights lately so maybe I was not fully lucid. That's probably why the beast caught me like a sitting duck, basically off guard.
It was like a whirlwind I can barely remember before I realised I was about to slap her hard on the cheek after beating her on her left hand twice. I was so out of control I scared myself enough to take a step back and breathe. It was then, at that pinpoint, that a small but piercing sunbeam of reason hit me and allowed me to see: she was scared too. Her eyes were filled with tears and despair, she was scared of my thundering voice, of the violence of my hand on hers, in brief, of me. As painful as this epiphany was, I realised I had stroke a point and hit my goal. I had scared her enough, possibly, to have her think it twice before attempting to break another jar.  And as I realised the danger had somehow found its way to shine over her as well, so that she'd be able to recall it another time, I saw myself in her at her age, facing my angry mother because of some childish roguery such as, not really or maybe just partially getting what it was all about. I saw my mother slapping me in the face, I feared her rage and that terrible feeling I had done something that could cost me her affection. Maybe my daughter is not old enough to reason like that but that fear in her eyes was enough to stop me. I took a step back and watched my lifted hand, ready to strike, and I realised the rage was gone. 
I understand she might hate me someday for scaring her like that, for being so violent, so aggressive. I hope I used my self-control enough for her also to remember it was for her own good. Yes, I was mad at her because she'd made lots of mess but that wasn't the big deal. The big deal was I feared she would not learn any lesson from the moment, had I let it slip away without doing something effective. I must admit such an explosion of rage was not the best option at hand though maybe it was the easiest and most convincing at the time. All I know is I risked to give it all away to the beast and I am quite ashamed of that, really. Lucky me I was so out of control to scare myself first, which means my true reasonable self was not that far away as I believed, which makes me feel a little better. In the end, I must admit I deeply fear my berserk mode, because I know the beast to be insidious, powerful and terribly easy to summon. I hope I'll always be lucky enough to stop in time and to grow better and better at controlling myself when it's needed. 


Di sicuro, la rabbia è una sensazione potente, infatti è in grado di avvelenarti e farti sentire come se avessi perso il controllo di te stesso. E’ una sensazione sgradevole quella legata alla rabbia, perché, indipendentemente dai tuoi sforzi per vincerla o contenerla, in certi casi è assolutamente in  grado di sopraffarti e tu ti ritrovi alla sua mercé, intrappolato in qualche remota regione del tuo essere, assolutamente incapace di trattenere quell’animale inferocito in cui si è tramutato nel frattempo il tuo corpo. E’ una lotta senza quartiere quella che combatti per non cedere a quella bestia che è il tuo lato più selvaggio, perennemente nascosto da qualche parte e pronto all'agguato per vanificare qualsiasi sforzo tu abbia compiuto per restare lucido e razionale, per non svegliare il can che dorme. E ti basta abbassare la guardia un istante di troppo per ritrovarti con la belva sguinzagliata, il che succede ancor più facilmente quando sei insonne, stanco o malato (come oggi, nel mio caso). Una volta che la lotta ha inizio, poi, ti tocca sfoderare tutte le armi in tuo possesso per non soccombere il che comunque non è facile.
Oggi mi sono ritrovata a tanto così dallo schiaffeggiare mia figlia in faccia. E’ ben difficile per me arrivare alle mani con lei, e quando capita in genere è per un eccesso di frustrazione e con lo scopo ultimo di far si che se lo ricordi, associandolo magari a cosa ha fatto di sbagliato, in modo da non riprovarci una seconda volta. Purtroppo, però, oggi ha inanellato l’intera serie delle “cose da non fare” e in un batter d’occhio mi ha fatto perdere il ben dell’intelletto. La serie includeva: l’ingresso in cucina – proibito – giocare con i barattoli di vetro della dispensa – proibito due volte visto che sono stati posizionati apposta in maniera tale da essere fuori vista e il più possibile irraggiungibili – mandare in frantumi un barattolo di funghi sottolio in terra, esattamente davanti al divano – pericolo da s.o.s. – mettersi in pericolo maneggiando i vetri rotti e, non ultimo, creare il massimo scompiglio stampinando il pavimento di tutta casa con le calzette accuratamente imbevute d’olio.
M’è bastato sentire il rumore dei vetri rotti per andare nel panico. Forse dovrei precisare che il fratello mi aveva appena costretta ad una notte completamente insonne, come non se ne vedevano da un po’ ultimamente, il che magari può deporre a favore della mia scarsa lucidità. Ad ogni modo la bestia mi ha preso totalmente alla sprovvista, una preda facilissima.
Il resto è un tornado di eventi, questo prima di accorgermi che stavo per darle uno schiaffo dopo averla colpita due volte sulla manina. Ero talmente fuori di me che mi sono spaventata da sola abbastanza da fare un passo indietro e tirare il fiato. E lì, in quel brevissimo istante, un piccolo ma penetrante raggio di ragione mi ha illuminato  e mi ha permesso di vedere: era spaventata anche lei. Aveva gli occhi gonfi di lacrime e sgomento, era terrorizzata dalla mia voce tonante e dalla violenza dei miei gesti sulle sue mani, in pratica, aveva paura di me. Per quanto dolorosa, questa epifania mi ha confermato di aver centrato l’obiettivo. Forse l’avevo spaventata abbastanza da far sì che la volta successiva ci avrebbe pensato due volte prima di azzardarsi a rompere un altro vasetto.  E mentre realizzavo che il pericolo si era in qualche modo palesato anche per lei, in maniera da renderla capace di visualizzarlo in futuro, mi sono rivista in lei, alla sua età, con mia madre furiosa davanti, per qualche birichinata del genere, inconscia o solo parzialmente di ciò che stava accadendo. Mi sono vista mentre mia madre mi dava uno schiaffo, ho temuto la sua rabbia e la tremenda sensazione di aver fatto qualcosa che mi avrebbe fatto malvolere. Magari mia figlia non è grande abbastanza per ragionare in questi termini ma la paura nei suoi occhi è stata sufficiente a fermarmi.
Ho fatto un passo indietro e ho guardato la mia mano tesa in alto, pronta a colpire, e ho sentito che la rabbia era scomparsa. Mi rendo conto che un domani lei potrebbe odiarmi per questa violenza, questa aggressività. Spero tuttavia di aver usato sufficiente autocontrollo per farle anche ricordare che è stato per il suo bene. Certo, ero fuori di me per la confusione che aveva fatto ma non era quello il punto. Il punto era che avevo paura che non si sarebbe spaventata a sufficienza per pensarci due volte prima di rifarlo se non avessi fatto qualcosa di abbastanza incisivo. Va da se che una simile esplosione di furia non era esattamente la miglior  mossa a mia disposizione anche se magari è risultata la più efficace e convincente al momento. Quel che so, però, è che ho rischiato di cedere alla bestia e di questo mi vergogno. Per fortuna sono andata talmente fuori di testa da spaventare me stessa in primis, il che mi dice che la parte razionale del mio essere non era poi così lontana come credevo.
In definitiva devo ammettere di avere una certa tema del mio lato selvaggio, perché so che la bestia è insidiosa, potente e stramaledettamente facile da evocare. Spero davvero di avere la fortuna di fermarmi sempre in tempo e di riuscire a migliorare, nel tempo, a controllarmi quando ce n’è bisogno.

domenica 27 febbraio 2011

FRIENDS - AMICI

Fiumi di carta stampata e di corrente elettrica in bit sono stati spesi per raccontare questa parola, darle un senso, celebrarla o, sì, anche specularne. Raramente mi è capitato di considerare le amicizie dei miei genitori, a dire il vero, tranne quando non mi hanno coinvolto direttamente. Mia madre è stata sicuramente più fortunata di mio padre da quel lato o magari semplicemente più conservativa: le sue amicizie sono le stesse da anni, poche ma ottime, non semplicemente buone, e tutte mantenute con cura, come le piante di un giardino. Mio padre ha perduto quello che era il suo unico migliore amico molti anni fa e da allora, credo, non ne ha più trovato uno simile pur circondandosi di persone stimolanti e gradevoli. Tuttavia, proprio come me per una volta, mio padre è certamente più restio ad avvicinarsi seriamente ad una persona consentendole un dialogo intimo e credo sia questo tipo di rapporto che lui definirebbe come amicizia vera. 
Il mio caso è abbastanza simile al suo: le mie amicizie vere si contano sulle dita di una mano e solo di una posso dire che vale cento o mille camminate sui carboni ardenti. Per il resto conosco persone davvero interessanti, alle quali generalmente mi avvicino con garbo, e che riempiono la mia vita di esperienze nuove ogni giorno.
L'amicizia intesa in senso stretto, per me, rappresenta quasi una parentela acquisita. La mia migliore amica non solo è "come fosse", bensì "è" mia sorella, la sua famiglia è la mia famiglia. Non si muove foglia nel mio o nel suo cielo che non abbia eco anche in quello dell'altra. Mi rendo conto che è un rapporto particolare, esclusivo, raro, ma proprio per questo merita tutta la dedizione della pianta più bella del giardino, per restare alla metafora di prima. Parlando di parentela acquisita, ho sicuramente la gioia di affermare che il mio compagno, il D.I.P. dei miei figli, è anche un mio grande amico. Non lo fosse non ci starei insieme. Dirò di più...dovesse andare male tra noi (e di certo non me l'auguro) farei comunque di tutto per non perdere la sua amicizia che per me vale moltissimo.
Ai miei figli forse sembrerò incoerente: in fondo credo di apparire piuttosto cordiale, di dar sembra di gradire la compagnia altrui in generale e senza gran distinguo, il che è vero. Ciò che per me, tuttavia, vale un'amicizia non si pesa né misura eppure si costruisce. Ci vuole un sacco di tempo perché mi fidi di qualcuno, ed un altro bel po' perché  consenta a me stessa di avvicinarlo. Niente di male, semplicemente credo che l'amicizia vada per gradi. Pur non facendo il torto di chiamare gli amici meno "vicini" semplici "conoscenti", mi rendo conto che nei loro confronti, pur sincera, sono sfuggente. Dico e non dico e in ogni caso preferisco ascoltarli. Mi ci vuole un sacco di tempo. 
D'altronde conosco il valore dell'amicizia anche perché ne ho sacrificate alcune, tra tutte una, per quello che all'epoca mi è parso, e tuttora mi pare, un bene più grande. Credo che volere il bene di qualcuno possa anche voler dire lasciarlo andare, recidere un legame usurato come, biblicamente parlando, a voler potare un albero perché dia più frutto. Alle volte davvero la vita ti mostra che due persone rendono meglio separate che insieme, il che vuol dire che recidere un legame non sempre è un male. Ovviamente nessuno dice che la cosa sia indolore o che non lasci alcuno strascico o che non possa trovare nuovi sviluppi. Sicuramente le relazioni ti insegnano a vivere, si spera meglio, anche se passano per momenti bui o decisioni drastiche. Può infatti capitare che alcune persone entrino ed escano dalla nostra vita per poi tornare. Se non tornano però non è un problema, semplicemente capita. Ecco, questo vorrei mostrare ai miei figli, che in amicizia come in amore, si vive tutto sul serio, che bisogna essere solerti, presenti, attenti e che alle volte bisogna saper perdere per vincere un domani o per cambiare semplicemente strada e che in questo non c'è niente di male. L'importante è non portare rancore, quello davvero è inutile. Finché c'è indifferenza, niente di male, ma il rancore logora chi se lo trascina e chi gli sta accanto. In più, posso affermare senza tema di essere smentita che le amicizie vivono e sopravvivono a differenze abissali tra le persone, differenze che in molti casi hanno provocato conflitti sanguinosi nella storia di questo mondo. Eppure basta essere davvero amici e non c'è differenza che tenga, perché l'amico è come l'amante in questo: è parte di te, nel bene e nel male e si fa di tutto per preservarlo dal male e dalla morte. 

giovedì 24 febbraio 2011

to my dad - al mio papà

Caro babbo, approfitto del mio blog per scriverti. Mi sembra d'uopo visto che anche i Parents in Progress hanno dei propri Parents in Progress e, per una volta, ci si può mettere dall'altra parte della barricata.
Si sta più al sicuro, devo dire: una valanga di problemi in meno e una miriade di certezze in più. E' davvero ridicolo, ma è così: se da genitori ci si preoccupa di dare il proprio meglio per i figli, da figli, specie arrivati ad una certa età, ci si tramuta in Anubi rispetto al comportamento dei genitori, pesando sulla bilancia qualsiasi azione o reazione, qualsiasi presenza o assenza, qualsiasi cosa insomma. Quindi, se da genitori accorti si cammina sui carboni ardenti un motivo c'è: dall'altra parte sono pronti a bersagliarti al minimo sgarro. A pensarci bene non è ridicolo, è terrificante. Prima o poi toccherà a me e non credo mi piacerà finire alla gogna, anche se so bene che mi aspetta, qualsiasi cosa faccia anche con le migliori intenzioni. Perché è questa la chiave vero? Per quanto bene ci si metta, per quanta buona volontà, tempo, dedizione, per quanto amore si investa non basta mai, la gogna è comunque una certezza. Il diritto dei figli a giudicare è naturale, purtroppo. Farà anche male ma è connaturato al fatto che non è per volontà loro se sono al mondo. Eppure quel giudizio ha il suo senso, il suo assoluto perché. E' un po' come il dolore, che ti ricorda che sei vivo. Senza quel giudizio non sei genitore, vuol dire che tuo figlio non ti riconosce come tale, non te ne ritiene degno.
Ecco, babbo, tu sei assolutamente degno di un giudizio. Ti posso assicurare che anche nel momento in cui siamo stati più lontani non ho mai perso fiducia di riprenderti. Il rapporto con te mi ha insegnato che si può amare moltissimo qualcuno anche quando ci sono distanza ed incomprensione e che quel qualcuno, proprio per questo, merita mille e più tentativi.
Ti ho imputato di essere stato assente, o meglio, non troppo presente, specialmente in momenti per me pregnanti. Ti ho accusato di avermi travolto con i tuoi problemi, di avermi fatto sentire grande troppo presto. Ti ho messo di fronte ad una figlia diversa da quella che credevi di conoscere, ti ho spiegato che mi conosci poco o affatto. Sono parole pesanti, che a me, come madre, potrebbero pesare un giorno, ma non sono vuote.
Anzitutto hanno prodotto il primo risultato sperato: farmi ascoltare davvero, darmi la possibilità di esprimermi senza riserve, rischiare la porta in faccia per aprire un portone. Come genitore so che per un figlio è importante farsi capire, essere ascoltato, esserci nei pensieri del genitore. In seconda battuta ho vinto contro l'insidioso senso di impotenza ed incomunicabilità che per lungo tempo ha minato, da parte mia, il rapporto con te: ho dimostrato ad entrambi che valevi la pena tentare. In terzo luogo ho guadagnato il poter gettare una nuova luce e nuove basi nel mio rapporto con te e qualcosa è cambiato: non ti ho più sentito distante. Quindi ho vinto ancora. Ti sei perfino prestato a presenziare al mio secondo parto...non è da tutti i babbi. Secondo me si contano sulle dita di una mano quelli che lo hanno fatto, e sono sicuramente molti meno di quelli che hanno applaudito ad una laurea del figlio o hanno accompagnato una promessa sposa.
Nella freddezza e lucidità di una e-mail scritta dopo mille e più analisi e ragionamenti ho centrato tutti i miei obiettivi. Quindi hai vinto anche tu. Non è stato indolore, né facile, lo immagino, ma spero sia chiaro oggi che quelle parole miravano ad un bene più grande del dolore che potevano provocare. Si uccide il proprio Maestro per rinascere, in fondo, più consapevoli, ancor più amanti della vita. La frase "Sei il miglior babbo del mondo" non ti calza; meglio"Sei il miglio babbo del MIO mondo", l'unico che conosco e che voglio rendere migliore, anche insieme a te. Perché anche tu hai diritto a dire la tua, oggi lo capisco. Hai tutte le tue migliori intenzioni da spiegare e sostenere perché valgono quanto le mie. Quindi siamo pari e di nuovo, sicuramente, insieme, come e meglio che mai.
Un forte abbraccio.
Ti amo tanto babbo.

martedì 22 febbraio 2011

Need to go - Bisogno di partire

Qualche volta ho bisogno di evadere, il che vuole sicuramente dire che mi sento prigioniera. A dire il vero non è una condizione che è sopraggiunta con la maternità. Mi ha sempre contraddistinto, devo dire, anche perché da giovane sono stata cittadina del mondo per molti anni ed il mio istinto libertario è quindi molto sviluppato. L'aver messo al mondo due figli, pur con tutti i problemi che comporta, non ha neanche scalfito la superficie di quell'istinto, che sopravvive in me come un fuoco inestinto sotto le braci, pronto a rinvigorirsi alla minima boccata di ossigeno, solo che stavolta mi porterei via i figli, naturalmente.
Negli ultimi tempi ho faticato a respirare, come un pesce fuor d'acqua, vittima di eventi grandiosi e totalizzanti che mi hanno fatto imbarcare acqua un pò tutti i giorni. Per riprendere la metafora di prima è un po' come se si fosse aperto uno spiraglio sotto le braci: il bisogno di evadere si è fatto impellente.
Forse qualche giorno lontano aiuterebbe a rimettere tutto in prospettiva...non so, io ci spero. Devo solo levare le ancore. Non farò fatica, non aspetto altro che un soffio di vento. Già e poi? Portandosi dietro i figli ci si portano via i problemi, si dirà. Io non credo. Se respiro io, respireranno anche loro. Vorrei che imparassero a rifuggire le pastoie di una società malata e febbricitante, a cercare nuove strade a non avere paura di cambiare aria ogni tanto. Naturalmente, evadere non è e non può essere una condizione permanente, piuttosto deve rappresentare un'opportunità di verifica. E' un po' come fare un tuffo nell'acqua fredda, un bel brivido per rinvigorirsi. Ed io ho un estremo bisogno di nuotare adesso...

giovedì 17 febbraio 2011

that grief that won't pass - il magone che non se ne va

Stamattina ho letto il post di un'amica su Facebook: una riga in cui ci stavano mille commenti e, tuttavia, nessuno. Lo cito testualmente perché merita "niente da fare, il magone non se ne va...". Alle volte ci si alza così, alle volte ci si arriva durante il giorno. E non è l'ora più buia è un malessere strisciante che ti porti addosso come un vestito sporco. Ti vorresti cambiare ma non ne hai la possibilità e sei sempre più stanco e ne puoi sempre meno. Alle volte arrivi a sperare davvero che una doccia si lavi via quel groppo che hai nel petto. Non è una climax di un momento "no" bensì una sgradevole costante di cui non riesci a far altro che sperare di liberarti.
Alle volte è tuo figlio che piange per qualsiasi motivo, che non sorride se non raramente, che sembra vanificare ogni tuo sforzo di creargli benessere attorno, che ti tormenta. Altre volte sono i giorni in cui il lavoro latita e sei persa tra le lavatrici da fare e i lavori di casa che ti attendono al varco e ti senti un'inutile automa che passa dai pianti degli infanti alle corvée. Altri ancora sono quelli in cui ti senti solo, in cui credi di aver perso la capacità di chiedere aiuto, in cui ti ritrovi a pregare, anche se non credi, di trovare un senso in ciò che stai facendo. Il magone che si trascina, che ti trascina, si scioglie in un abbraccio, in un bacio, in qualche istante di dolcezza gratuita, in un pensiero positivo, in un amico che ti sostiene, in un pò di indulgenza verso te stesso, che se la merita. La chiave è questa: ce la meritiamo (dal latino MERERI: acquistare, guadagnare) la dolcezza, la comprensione, l'amore. Ci meritiamo un sorriso, un aiuto, un grazie. Ci meritiamo di gioire di essere vivi, di lasciar piangere un pò il pupo isterico, di fare un bagno. Ce lo meritiamo perché il nostro è un lavoro che non conosce sosta, domenica, festa. E' un lavoro che investe la vita, la veste di nuovo, la stravolge e la travolge ogni giorno. Siamo funamboli., temerari scalatori della vetta più alta. Siamo folli sognatori di un mondo migliore. Siamo amanti appassionati della vita nuova. Siamo servitori del Bene più grande (la maiuscola non è un caso). Non siamo instancabili, siamo umani, ma siamo lì e siamo veri. E il magone ci sta. Forza e coraggio, passerà

lunedì 7 febbraio 2011

In the darkest hour - L'ora più buia

Alle volte incontri persone impressionanti, gente che ti chiedi se viva con una anastomosi nello stomaco per pomparci dentro il caffé per direttissima, tanto che non sta ferma e fa cose incredibili. Stamattina ad esempio: la segretaria del futuro asilo di 50Grillo si è scusata tipo 50 volte di essere appena rientrata dalla maternità e, vedendo il croci-cozza (lo chiamerò così d'ora in poi, una sintesi di crociato e cozza, quale si è tramutato ultimamente, standomi appiccicato tutto il giorno), ha lasciato qualche battuta qua e là sui suoi figli. Si muoveva e parlava come la Vispa Teresa, una macchinetta così ben oliata che non ha sbagliato neanche un congiuntivo nonostante la velocità smodata, il telefono attaccato ad un orecchio, la tastiera sotto le dita e la collega a cui dava ordini su cosa fare: insomma, un maggiolino col motore da Ferrari. La solita MIP-scimmia qui presente, di curiosità possa un dì morire, ad un certo qual punto ha chiesto se la signora avesse anche lei due bimbi e quella, serena e pacifica ha risposto: "No no, questo era il mio quarto figlio!". Sic! Poi aggiunge "Sì, sì ma si fa...solo che...non dormono!" e scappa via a recuperare chissà cosa fuori dalla porta...E neanche tu direi! è la battuta unisona di MIP e DIP lasciati di sasso in balia di se stessi. 

Io sono...beh rassegnata. Ho messo il pilota automatico dalla nascita del croci-cozza, nel senso che tutte le funzioni che non servono sono in standby. Mangio quel che serve, dormo se e quanto posso e cerco ogni istante il lato positivo. La mia ora più buia non sono le due di notte quando allatto ma la mattina dopo tre notti insonni, quando un mal di testa da post-sbornia colossale mi rende più nervosa di un cane invaso dalle pulci e so che potrei scoppiare ogni secondo, quando sono così stanca che non riesco più a dormire, o, viceversa, quando crollo davanti ai primi cinque minuti di un qualsiasi programma in tv alle otto di sera...prima che il croci-cozza reclami il suo avere. Dovrei aggiungere che 50 è in fase "sì e no": alla frustrazione di non sentirla proferire verbo che non sia in una lingua forse morta o forse aliena (quantomeno al genere HUMANUS ADULTUS) si sono aggiunte almeno due settimane di tigna furente ogni due secondi accompagnate da ferrea resistenza al pisolino (mattutino o pomeridiano, a scelta) e sveglia alle 5 del mattino "si-ste-ma-ti-ca!". Hai voglia ripetersi che sono i 4 molari che stanno tentando l'uscita collettiva a renderla impossibile! Se lo dite ad una che ha rivisto il suo letto dopo un mese, e in esclusiva dalle 5 alle 7 di domenica 6 febbraio, penso si capisca come lo stato d'animo della MIP possa assumere contorni inquietanti. Da giorni mi sento davvero uno zombie.
Però mi batte il cuore, sempre. Mi basta che 50 mi dia un bacino, mi basta vederla brandire la sua forchettina con sicurezza e sfamarsi per conto suo per la prima volta - UN EVENTO, sempre il 6 febbraio, segnare, prego!- mi basta farla ridere come e quando posso e sono felice. Mi basta cullare il croci-cozza quando siamo solo io e lui, vederlo esplorare con i suoi occhioni blu (che speriamo restino blu, sono bellissimi!) quel che lo circonda, vederlo crescere anche in questo momento per noi così duro e sono felice. Sono uno zombie col cuore...e sono felice! E allora va bene anche il pilota automatico, va bene l'insonnia, l'inappetenza, il mal di testa, dormire sul divano, sfiancarsi tra un figlio e l'altro senza soluzione di continuità perché non c'è giorno e non c'è notte ma solo impegno. 
Poi c'è DIP...e il povero DIP è stanco, alle volte sfiduciato, alle volte, pare, infelice. Ed ecco che l'ombra dell'ora più buia si fa strada e ci minaccia, perché se minaccia lui, minaccia anche me e tutto il resto e alle volte ti senti come se tentassi di riparare una casa costruita sulla sabbia da un uragano dietro l'altro. Eppure non mollo. Me ne sto lì, ferma, lo sguardo fisso e vigile e tendo la mano perché so che lui la tenderà a me se cadrò in ginocchio. Gli parlo, lo scuoto, cerco di dargli ragioni per sorridere, per essere felice, per dare un senso a tutta questa fatica. Quando l'ora più buia avanza, l'esperienza mi insegna che è il momento di proteggere anche la fiamma più lieve, perché può bastare ad illuminare tutto il cielo! Spero che DIP legga queste parole e trovi la forza di sorridere, di immaginare, di fantasticare e gioire. L'ora più buia non solo passerà un domani, ma può allentarsi anche adesso esprimendo un desiderio e tenendolo stretto. 
Nell'ora più buia tutti hanno paura e sono tristi, arrabbiati e stanchi...tutti i PIP in particolare perché crescere un essere umano è fatica, è sudore ma è anche amore (dal greco a-mors, lontano dalla morte!!!). E la morte la vincono solo gli eroi!